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Bucovina

Monastero Voroneț
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Monastero Voroneț

La chiesa è dedicata a San Giorgio ed è di rito ortodosso. 

Chiamato anche “la Cappella Sistina d’Oriente”, fu costruito nel 1488 per volere del principe regnante della Moldavia Stefano il Grande, come ringraziamento per i preziosi consigli ricevuti da Daniil l’Eremita, in soli tre mesi e tre settimane.

La rappresentazione pittorica che stupisce per i suoi colori, grandezza, numero di personaggi biblici ed il racconto del Giudizio universale, sulla parete esterna occidentale dell’esonartece, è un’immensa composizione che si colloca certamente tra i capolavori dell’arte mondiale, ragione per cui Voronet si trova sulla lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco, dal 2004.

Il Giudizio Universale e il colore azzurro sono i simboli di Voronet.

La costruzione fu fatta sulle rovine di una vecchia chiesa distrutta da un incendio. La forma iniziale della Chiesa, quasi quadrata, si può osservare nel quadro votivo. L’esonartece fu aggiunto nel 1547, su iniziativa del metropolita Grigorie Rosca, considerato il secondo fondatore. 

Voroneţ fu un’autentica culla della vita monastica romena, interrotta nel 1785, dopo l’annessione della Bucovina all’impero degli Asburgo ripristinata, il 1° aprile 1991 stavolta con una comunità di suore. Dal 1785 al 1991 la chiesa era solo parrocchia del villaggio. Nel XVIII secolo furono distrutte le abitazioni dei monaci e la copisteria dei libri religiosi in lingua romena e slavo liturgico.

Voronet rappresenta uno dei primi monumenti moldavi che creò uno stile proprio, sintesi originale di elementi bizantini, gotici autoctoni.

La celebre decorazione pittorica – esterna e interna – della chiesa di San Giorgio è il frutto della ricerca di questa comunità di monaci e della loro abilità pittorica, ispirata da Gregorio Roşca, teologo e studioso delle sacre scritture, metropolita di Suceava e cugino del voivoda Pietro Rareş.

L’azzurro di Voronet, unico al mondo, diventa ancora più bello in contrasto con la neve. Anche se chiamata la Cappella Sistina d’oriente, il suo azzurro è più simile alla Cappella degli Scrovegni. 

+ Pittura esterna

La pittura esterna si deve sempre al metropolita, Grigorie Rosca. 

Il Giudizio Universale si estende su tutta la parete ovest, ha cinque registri ed è unica per l’arte dell’oriente cristiano. L’originalità dell’artista consiste anche nel suo coraggio di introdurre nella scena, strumenti musicali popolari moldavi, il “bucium” (strumento a fiato simile al corno lungo svizzero) e la “cobza” (liuto), paesaggio locale, asciugamani tipici locali. 

Nel primo registro, in alto al centro, compare la raffigurazione dell’Antico di Giorni, ovvero Gesù Cristo il Vecchio, ritratto come un vegliardo con la barba e i capelli completamente bianchi. Il riferimento è la visione del profeta Daniele. Antico di Giorni è accompagnato da angeli che arrotolano la carta del cielo. Sono raffigurati i sette cieli, il sole, la luna, le stelle e le costellazioni dei segni zodiacali. Il tempo è finito. Ha inizio l’eternità. Dietro il velo del Tempo si aprono le porte che svelano l’immagine dell’Eterno.

Nel secondo registro la figura centrale è quella del Giudice. Gesù sprizzante di raggi luminosi è accompagnato da Maria e Giovanni Batista che intercedono per la salvezza dell’umanità risorta. Sotto i suoi piedi comincia il fiume di fuoco. A destra e sinistra ci sono gli apostoli.

Nel terzo registro c’è il trono con la croce, la tunica di Cristo, la colomba di Santo Spirito ed il Vangelo che aspettano la risuscitazione per procedere con il Giudizio.  Accanto al trono ci sono inginocchiati e invecchiati, i nostri progenitori Adam e Eva.  Seguono a destra e sinistra i gruppi di etnie e religioni diverse. Sulla predella è appoggiato il calice che contiene i quattro chiodi della crocifissione. 

La grande immagine della comunione dei santi si sviluppa a sinistra su tre registri sovrapposti. Il lungo corteo di beati che incede verso il Cielo è guidato dall’apostolo Pietro che apre con le sue chiavi la porta del Paradiso e v’introduce l’apostolo Paolo seguito dagli altri apostoli e dai patriarchi biblici. Tra questi si riconoscono Mosè e i re David e Salomone.

I santi sono raggruppati nei diversi ordini della tradizione bizantina: i profeti, gli alti prelati e i teologi, i martiri, gli asceti, i re giusti, le donne martiri e sante. Spiccano alcune figure care alla devozione ortodossa: la regina Elena con il figlio, l’imperatore Costantino, Basilio Magno, Gregorio Nazianzeno, il vescovo Spiridione, l’anacoreta Onofrio.

Nella parte destra del terzo registro, Mosè presenta Cristo agli Ebrei. Al giudizio divino si presentano gli Scribi, i Farisei e tutto il popolo ebreo. Mosè – che ha consegnato loro le tavole della legge antica – li precede e indica loro col dito il Cristo giudice. L’annuncio del Messia provoca scompiglio tra gli Ebrei: alcuni si tirano la barba, altri urlano e reagiscono scompostamente. Presenza originale nell’affresco di Voroneţ è il corteo dei popoli che attendono di essere giudicati e che sono raffigurati separatamente, a gruppi,  alle spalle del popolo ebreo. Questi popoli sono ben riconoscibili poiché raffigurano volti stranieri, talvolta ostili ma comunque noti alla popolazione moldava e di fede diversa da quella ortodossa. Il primo gruppo è quello dei Turchi, seguito da quello dei Tartari. In successione si vedono gli Armeni, guidati da una figura monastica.  Chiudono il corteo gli “Arabi”, popolazioni africane dalla pelle nera. 

Sotto il trono si svolge “La morte del giusto e del peccatore”. La morte – il primo dei quattro Novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso) – è ricordata a Voronet con la duplice scena della morte del giusto e di quella del peccatore, separate dalla figura del re David. L’uomo giusto, vestito di bianco, spira disteso per terra, con le braccia incrociate sul petto; dalla sua bocca esce l’anima, una figurina bianca che viene raccolta dall’angelo custode che assiste al trapasso. Il peccatore giace invece sul suo lussuoso letto di morte, con coperte e cuscini. Tre diavoli lo circondano, lo trapassano con la spada e cercano di trascinarne via il corpo avvolto nella coperta; il suo angelo non può che confermare il verdetto negativo sulla sua vita e lo infilza con un forcone. Al centro spicca la figura del re Davide, rappresentato nell’atto di suonare la “cobza”, uno strumento musicale moldavo simile al mandolino. 

L’ultimo quadro è “La risurrezione dei morti.” Al suono della tromba i morti si rianimano, risorgono dalle loro tombe e sono restituiti dalla terra, dal mare, dalle fiere terrestri e marine. La Terra è personalizzata da una figura femminile che ha sul capo l’abete e regge in mano un sepolcro con un risorgente. Dai sarcofaghi i morti si sollevano ancora rivestiti dai sudari bianchi e si rivolgono a mani giunte verso il giudice. Le bestie carnivore restituiscono i poveri resti degli uomini divorati. Nel bestiario spiccano due draghi alati, un elefante, un leone, un lupo, un orso, un’anatra e un lungo serpente. Ma spicca anche il cervo, biblica figura dell’innocenza e simbolo cristiano.

Sotto il trono dell’Etimasia spunta la mano di Dio che regge una bilancia a doppio piatto. Un uomo nudo simbolizza l’anima che si sottopone al giudizio individuale. Il suo angelo custode riempie il piatto della bilancia con le opere buone, compiute in vita. Una piccola folla di diavoletti neri si affanna a porre sull’altro piatto della bilancia l’elenco delle opere cattive. Altri tentano di frodare con l’uncino l’esito della pesatura, favorevole al giudicato. I condannati sono scortati dai diavoli e sono condotti in catene verso l’Inferno. Il contrasto tra il Bene e il Male è plasticamente reso dal combattimento tra l’arcangelo Michele e il diabolico Satana.

Il Paradiso è descritto come un giardino edenico racchiuso nelle mura della città celeste. La porta è ancora chiusa e vigilata da un cherubino armato.

In attesa che Pietro apra le porte, il giardino è già abitato da alcune presenze significative. Vediamo Maria, la madre di Gesù, seduta su un trono e servita dagli angeli. Segue poi il buon ladrone Disma, cui Gesù in punto di morte ha promesso di portarlo in paradiso, rappresentato con la croce. Vediamo poi il patriarca Abramo che ha in grembo l’anima del povero Lazzaro. Il patriarca è affiancato da Isacco e Giacobbe, entrambi con le anime dei giusti nel grembo. Il giardino recintato del Paradiso mostra un ricco parco botanico, nel quale le piante assumono anche un ruolo di simbolo. Il più evidente tra questi è Cristo Albero della Vita: si tratta dell’albero al centro del giardino nella cui chioma compare il mezzobusto di una figura imberbe vestita di bianco. Tra gli alberi del Paradiso oltre all’albero della conoscenza del bene e del male, ci sono il fico, la vite, il cedro, il cipresso, la palma, l’ulivo. 

Sulla parete meridionale è stato dipinto l’albero di Jesse, che sembra un vero tappeto orientale, con il corteo dei filosofi antichi, i cui ritratti sono ritenuti dei veri capolavori. l’albero di Jesse o Iesse è una schematizzazione dell’albero genealogico di Gesù a partire da Jesse, padre del re Davide, il quale è di particolare importanza nelle tre religioni abramitiche, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam. E’ un motivo frequente nell’arte cristiana tra l’XI e il XV secolo. Nel XIII secolo, l’albero si sviluppa verticalmente, ed è solo nel XV che comincia a ramificarsi lateralmente. Ancora presente nell’iconografia cristiana del XV secolo, il motivo declina nel XVI per scomparire con la Controriforma,  

Presso l’ingresso nella chiesa ci sono i ritratti dei principali creatori della storia monastica, l’eremita San Daniil (diventato Santo nel 1992) e il metropolitana Grigorie Rosca.

Sulla parete settentrionale, lavato dalle piogge, era rappresentata la genesi “Adamo sta arando”, “Eva a torcere la lana”. 

+ Pittura interna

Il naos e l’altare mantengono l’insieme iconografico dell’epoca di Stefano il grande e santo, con personaggi imponenti in ordine scenico meno consueto in Moldavia (“Le passioni di Cristo” nella naos). Gli altri temi sono “l’entrata a Gerusalemme”, “la preghiera sul monte degli ulivi”, “la deposizione di Cristo”, “l’ultima cena”, “il lavaggio dei piedi”, “la comunione degli apostoli”, san Teodoro, il quadro votivo.

L’affresco dell’esonartece, ridipinto ulteriormente, alterna momenti e figure che sembrano voler fare un legame con il mondo esterno, passando tuttavia attraverso il loggiato laddove il Calendario soprattutto Sant’Elia è di una freschezza genuina, naif, con una sfumatura di humor che preannuncia in qualche modo le icone sul vetro della Transilvania del XVIII secolo. 

+ Pietre tombali 

Nella chiesa si trovano le pietre tombali di Grigorie Rosca e di Daniil l’Eremita.